TRIBUNALE di MONZA sentenza depositata il 23 novembre 2006

omissis



Svolgimento del processo


Con atto di citazione del 2.5.2001, T.G. conveniva in giudizio l'Azienda Ospedaliera xxx, il prof. G.M., il dott. A.G. e il dott. S.S., affinché venisse accertata e dichiarata la loro responsabilità nella causazione dell'evento lesivo (lesioni vescicali e conseguenza incontinenza urinaria) che la G. assumeva di aver subito durante l'intervento chirurgico avvenuto il xxx e conseguentemente chiedeva di sentirli condannare, in solido tra loro, al risarcimento dei danni sofferti. L'intervento era stato finalizzato ad una asportazione di un carcinoma.
L'attrice sosteneva, in primo luogo, l'errata esecuzione del suddetto intervento (era stato leso il nervo pudendo) ed, in secondo luogo, l'invalidità del consenso informato dalla stessa sottoscritto in quanto non preceduto da un'adeguata illustrazione né delle eventuali terapie alternative (avrebbe potuto essere prospettata una terapia radiante, alternativa a quella chirurgica) né delle possibili conseguenze negative dell'operazione.
L'attrice espose che nel maggio del 1995, la Divisione di Ostetricia e Ginecologia dell'Ospedale di Sesto San Giovanni (MI) le aveva diagnosticato un "carcinoma della portio uterina stadio IB". L'attrice si rivolgeva, quindi, all'Ospedale xxxa, ove il xxx il prof. M., il dott. S. e il dott. G. le effettuavano un'"isterectomia radicale con linfadenectomia pelvica".
In data xxx, la G. veniva nuovamente ricoverata presso il xxx per "... infezione acuta di urina e note di cistite associato a ritenzione fecale".
Le veniva, inoltre, accertata un'"assenza dello stimolo menzionale con necessità di minzione ad orologio, minzione spontanea assente o incompleta ed episodi di incontinenza urinaria". Persistendo nel tempo tale condizione alla G. venivano consigliate una serie di terapie farmacologiche che avevano lo scopo di risvegliare il riflesso minzionale; queste però, non apportavano nessun miglioramento.
Pertanto, il xxx, su indicazione dei sanitari, l'attrice si sottoponeva ad un nuovo intervento chirurgico consistente nella "dilatazione uretale".
Non ravvisando segni di miglioramento, la G. si rivolgeva all'Ospedale xxx, il quale, tra il giugno 1996 e il gennaio 1997, diagnosticava: "denervazione parziale del detrusore"; "assenza di stimolo minzionale, vescica di capacità aumentata e fughe di urina sotto sforzo" e "segni di denervazione del nervo pudendo dx".
In data 24.3.1997, l'attrice inviava, alla direzione dell'Ospedale xxx una richiesta di risarcimento danni, sostenendo la responsabilità professionale dei medici che l'avevano operata per le gravi lesioni arrecatele nel corso dell'intervento.
Con comparsa di costituzione e risposta depositata in cancelleria il 6.7.2001 si costituiva il dott. S.S., contestando ogni addebito di responsabilità e chiedendo l'autorizzazione a chiamare in giudizio le proprie compagnie assicurative, G. Assicurazioni S.p.A. e xxx S.p.A. All'udienza del 20.12.2001 si costituivano, altresì, in giudizio G. Assicurazioni S.p.A., xxx S.p.A., il prof. G.M., il dott. A.G. e l'Azienda Ospedaliera xxx, i quali contestavano le pretese avversarie e chiedevano il rigetto delle domande svolte nei propri confronti, oltre il rimborso delle spese processuali.
I convenuti asserivano l'inesistenza del nesso di causalità tra la presunta lesione alla salute dell'attrice e l'operazione del xxx.
In particolare, secondo quanto sostenuto dai convenuti, l'intervento di cui sopra nonostante fosse di particolare difficoltà, tanto da rendere necessario l'impiego di operatori dotati di specifiche competenze, veniva eseguita a regola d'arte e senza errori da parte del personale medico. I convenuti sostenevano, infine, che il consenso informato sottoscritto dall'attrice era stato ottenuto nel rispetto della prassi adottata dall'ospedale di Monza; non vi erano, infatti, prove di un comportamento censurabile per imperizia, imprudenza o negligenza in capo ai salutari che effettuarono la detta operazione.
Venivano proposte, altresì, l'eccezione di prescrizione dell'azione per decorrenza di termine ex art. 2947 c.c. e l'eccezione di improcedibilità della domanda, in quanto, a dire dei convenuti, l'attrice avrebbe rinunciato alla giurisdizione attraverso un arbitrato irritale. Sentiti i legali rappresentanti delle parti ed esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione, la causa veniva istruita mediante interrogatorio formale delle parti, escussione dei testi ed espletamento di C.T.U.
Precisate le conclusioni, la causa veniva trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Eccezione di prescrizione.
L'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento danni sollevata dai convenuti non può essere accolta.
Concorde giurisprudenza afferma sia la responsabilità dell'ente ospedaliere che quella del medico hanno natura contrattuale. La prima sulla base del fatto che nel momento in cui il paziente viene accettato nella struttura ospedaliera automaticamente, tra i due, si perfeziona un contratto d'opera professionale. (Cass n. 4152/1995, n. 2750/1998, n. 4400/2000). La seconda in forza del c.d. contatto sociale, consistente nel peculiare affidamento che il paziente pone nella professionalità del medico, fonte per quest'ultimo di obblighi di protezione nei confronti del malato (Cass. n. 589/1999).
Conseguentemente, alla responsabilità dell'Ente Ospedaliere) e del medico si applicheranno i principi della responsabilità contrattuale per la quale vige il termine di prescrizione decennale previsto dall'art. 2946 c.c. Nel caso di specie, non essendo trascorso tale termine tra la data dell'intervento chirurgico (xxx) e la data della notifica dell'atto di citazione (17.5.2001), i diritti azionati nel presente giudizio non sono prescritti.
Improcedibilità dell'azione.
Va, altresì, rigettata l'eccezione di improcedibilità dell'azione, in quanto non vi è alcun elemento documentale giuridicamente idonei a fondare la tesi che parte attrice abbia rinunciato alla giurisdizione attraverso un arbitrato irritale.
Non è elemento idoneo documentale il verbale di operazioni del 9.9.1998 e 6.10.1998, in quanto non risulta che la G. abbia espresso la volontà di essere vincolata agli accertamenti medici fatti nel contraddittorio di medici di fiducia delle parti. Intervento volontario del terzo U.
Va rigettata la eccezione di inammissibilità dell'intervento volontario dell'U., marito dell'odierna attrice, che è, invece, avvenuto nei termini previsti dall'art. 268 c.p.c. Merito della controversia.
Al fine di accertare le eventuali responsabilità per prestazioni professionali del medico, trattandosi di obbligazioni di mezzo, e non di risultato, è necessario non solo stabilire se il mancato raggiungimento del risultato sia imputabile alla violazione dei doveri relativi alla specifica natura dell'attività svolta e, in particolare, al dovere di diligenza, ma anche verificare se l'opera prestata dal medico sia di facile o difficile esecuzione e se il risultato perseguito sia peggiorativo delle condizioni finali del paziente.
La responsabilità medica per atto chirurgico. L'intervento è considerato di facile o routinaria esecuzione quando "non richiede una particolare abilità, essendo sufficiente una preparazione professionale ordinaria, ed il rischio di esito negativo o addirittura peggiorativo è minimo" (Cass. n. 6141/1978).
In tal caso, se il risultato dell'intervento è peggiorativo, nel senso che le condizioni del paziente sono deteriori rispetto a quelle preesistenti, opera una presunzione della inadeguata o non diligente esecuzione della prestazione professionale (Cass. n. 8470/1994). Tale presunzione vale fino a prova contraria, per cui il medico deve dimostrare che l'esito infausto è stato dovuto a causa a lui non imputabile.
Il paziente, quindi, per ottenere il risarcimento dei danni, deve provare non solo che l'operazione è di facile esecuzione, ma anche che ha subito un peggioramento a seguito di tale intervento e che il peggioramento è una conseguenza diretta dell'operato del medico (Cass. n. 2044/2000). E', invece, considerato, di difficile esecuzione l'intervento operatorio che richieda una notevole abilità oppure implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale complessità o che comporti un largo margine di rischio (cfr. Cass. n. 6220/1988).
In quest'ultima ipotesi, l'onere della prova circa la difficoltà dell'intervento incombe sul medico, mentre il paziente dovrà esclusivamente dimostrare le modalità di esecuzione dell'operazione ritenute non idonee o improprie.
La C.T.U. (condotta collegialmente dal dott. B. e dal dott. C.) afferma che la G. si è rivolta all'Ospedale xxx "per un serio problema tumorale che imponeva una scelta chirurgica impegnativa e radicale", che la stessa è stata sottoposta ad "intervento di isterectomia radicale sec Meigs, annessiectomia bilaterale linfadenectomia pelvica sistematica", il quale ha previsto l'asportazione dell'utero, delle tube, delle ovaie, del terzo superiore della vagina e dei tessuti circostanti, oltre l'asportazione dei linfonodi pelvici.
Inoltre che tale operazione chirurgica è "gravata da complicanze severe a carico delle vie urinarie", che, attualmente, i disturbi funzionali del basso i tratto urinario sono frequenti e che, "per quanto riguarda la ritenzione urinaria, essa rappresenta un problema di osservazione abituale, prevedibile e ben riconosciuto alla rimozione del catetere vescicole dopo l'intervento chirurgico; fortunatamente nella maggior parte dei casi essa si risolve spontaneamente nel giro di 6 mesi dall'intervento, ma... in alcuni casi diventa cronica", (cfr. C.T.U. pag. 12).
Nel caso di specie, dalla relazione peritale si evidenzia che l'intervento de quo debba essere fatto rientrare tra quelli di difficile esecuzione: innanzitutto, l'isterectomia radicale richiede una notevole abilità tecnico-professionale, e ciò si evince dalla descrizione e dalle considerazioni sull'operazione operata in sede di C.T.U., nonché dal comportamento dei medici dell'Ospedale xxx che, in seguito alla diagnosi, consigliano alla G. di rivolgersi all'Ospedale di Monza, facendo così intendere, che pur all'interno di un importante nosocomio, si valutava una situazione complessivamente difficile tale da consigliare di effettuare un intervento di quel genere in un centro altamente specializzato. In secondo luogo, è statisticamente provato (ne dà atto al relazione dei consulenti tecnici di ufficio) che l'isterectomia radicale comporta un largo margine di rischio dato che vi sono comprovate ed inevitabili complicanze post-operatorie.
Ne consegue che la prova della difettosa ed inadeguata prestazione professionale incombe sull'attrice.
La G. produce perizie mediche le quali affermano che i danni subiti dipendono da "un esito particolarmente sfavorevole" dell'intervento di isterectomia da cui sarebbe derivata la lesione del nervo pudendo senza, però, specificarne in concreto le cause. A tale riguardo occorre premettere che la C.T.U. non riferisce in maniera esplicita se vi siano o meno segni di lesione del nervo pudendo.
Tuttavia della perizia del dott. B. e del dott. C., si evince, da un lato, che "nel campo della chirurgia oncologica ginecologica un danno diretto del nervo pudendo è possibile solo in caso di eviscerazione pelvica posteriore"(C.T.U. pag. 17) e, dall'altro, che non è certo che la recisione di detto nervo abbia conseguenza dirette sul tratto urinario inferiore. (C.T.U. pag. 14 e ss.). Alla luce di tali affermazioni, il giudice non ritiene sussistere il nesso di causalità tra l'intervento de quo e l'aggravamento delle condizioni di salute della G. L'attrice non ha prodotto elementi idonei a confutare le sopraccitate considerazioni dei C.T.U. ed, in particolare, non prova né che l'asserita lesione del nervo pudendo sia avvenuta a seguito dell'operazione chirurgica di cui è causa, né che le disfunzioni del basso tratto urinario siano conseguenza diretta della recisione del nervo pudendo. La diversa scelta terapeutica.
La questione della diversa scelta terapeutica di deve affrontare sotto due profili. Sotto un primo aspetto la scelta terapeutica (intervento chirurgico, invece di terapia radiante) viene prospettato come errore medico.
Va escluso che tale attività di scelta terapeutica possa considerarsi un errore medico. Dalle risultanze della C.T.U., infatti, emerge che, dinanzi ad una patologia, quale quella diagnosticata all'attrice, l'indicazione terapeutica di elezione è "per l'isterectomia radicale con asportazione dei linfonodi pelvici" e che " non è proponibile in una paziente operabile una terapia radiante pelvica in sostituzione della chirurgica di prima istanza in quanto i risultati, benché non dimostrino significative differenza nel trattamento, sono gravati nel lungo periodo di un numero maggiore di complicanze" (C.T.U. pag. 18 e ss).
Il consulente tecnico di ufficio dott. C., sentito a chiarimenti (con il consenso di tutte le parti è stato sentito telefonicamente in viva voce) ha riferito che la terapia chirurgica in presenza di tumori della dimensione di quelli della signora G. (circa 4 cm di diametro, rientrante nella categoria B1 e non in quella B2) era quella "di elezione" in base ai protocolli medici internazionali. Va, quindi, escluso, che la terapia praticata fosse inidonea rispetto a quella praticata.

Il consenso informato.
Il secondo aspetto della scelta terapeutica si pone infine, con riferimento al consenso informato. La parte attrice assume che non le sarebbe stata prospettata una alternativa terapeutica tra l'asportazione chirurgica e la terapia attuata attraverso radiazioni (non invasiva) che avrebbe avuto una capacità terapeutica pressappoco simile a quella chirurgica. Occorre premettere che la violazione dell'obbligo di informare il paziente circa la natura e la portata dell'intervento, i rischi che potrebbe comportare, i risultati conseguibili, le potenziali conseguenza negative, le diverse procedure e le eventuali terapie alternative, non è risarcibile ipso iure, ma solo se sussiste un nesso causale tra l'intervento chirurgico ed il peggioramento delle condizioni del paziente.
Secondo la Cassazione, infatti, l'oggetto del risarcimento non è l'inadempimento dell'obbligo di informazione, ma l'eventuale danno conseguenziale.
Nel caso in esame, la G. ha espressamente sottoscritto il modulo del consenso informato acquisito agli atti. Ella, però, sostiene di non aver ricevuto alcuna spiegazione circa i benefici, le modalità dell'intervento, le eventuali scelte di tecniche alternative e dei rischi prevedibili. I sanitari, a suo dire, si sarebbero limitati a comunicarle la patologia di cui era affetta ed a proporre, quale unico rimedio, l'isterectomia radicale, senza mai prospettare l'alternativa radioterapica. Peraltro, l'onere della prova in tema di consenso informato è a carico dei medici e nel caso di specie non può dirsi adeguatamente assolto; è vero che la G. ha sottoscritto un modulo dichiarando di essere stata informata dell'intervento a cui sarebbe stata sottoposta; tuttavia sia in sede di interrogatorio formale, che di escussione dei testi i convenuti si limitano a riportare la prassi ospedaliera per cui le pazienti verrebbero più volte edotte sulle modalità e sugli esiti delle operazioni, nonché su tutte le eventuali alternative al trattamento chirurgico, ma non ricordano nulla del caso della G. Ma di fronte al formale consenso informato e soprattutto sulla base delle risultanze della C.T.U. il Giudice è giunto alla convinzione che l'intervento effettuato fosse l'unica opzione concretamente proponibile e che non ha avuto rilevanza la mancata indicazione della radioterapia dato che, sulla base delle condizioni cliniche e fisiche della G., il trattamento chirurgico (soprattutto in relazione all'età della paziente relativamente giovane e, quindi, pregiudicabile negli anni futuri da un eventuale trattamento radiante), era quello maggiormente consigliato. Per tali ragioni e per la mancanza del nesso di causalità tra l'intervento chirurgico e il peggioramento delle condizioni dell'attrice, pur sussistendo in capo ai medici la omessa prova dell'obbligo di (specifica) informazione, la domanda risarcitoria degli attori non può essere accolta. Le spese di giudizio.
La complessa ricostruzione della vicenda con riferimento alla alternativa terapeutica praticabile, l'esito obbiettivamente negativo dell'intervento e la valutazione della non prova di una colpa medica (valutata alla luce della relazione dei consulenti tecnici di ufficio) comporta che sussistono giusti elementi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio. Pone definitivamente le spese dei consulenti tecnici di ufficio a carico delle parti in giudizio in pari misura tra loro.

P.Q.M.


Il Tribunale, in persona del Giudice Unico pronunciando nella causa n. 4758/2001 R.G.C., così provvede:

così definitivamente provvede:
1. Rigetta le domande svolte dell'attrice T.G. e del terzo intervenuto F.U.;
2. compensa interamente le spese tra le parti tra loro;
3. pone definitivamente le spese dei consulenti tecnici di ufficio a carico delle parti in giudizio in pari misura tra loro.
Così deciso in Monza, il 23 novembre 2006.

Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2006